mercoledì 1 giugno 2016

Era una domenica di primavera del 1946

  



Certamente era una domenica della primavera del 1946, e la nonna Annamaria era uscita per partecipare alla Messa delle 11,00. 

Nella primavera del '46 Annamaria non era ancora nonna, nonna di sei nipoti, soprattutto di noi tre femmine cresciute da lei: con durezza e dolcezza, con le tabelline (“devi imparare almeno fino al 4 prima di andare a scuola!), con  meravigliose torte -sorpresa, con lo zabajone obbligatorio del mattino e il suo abbraccio caldo nel suo letto quando di notte piangevo.

Nel 1946 era ancora una signora di media età, alta e diritta, dai capelli neri ondulati (a "scale a scale", come li definiva lei), con le due figlie insegnanti,  ancora ragazze, in casa, il figlio maschio adolescente, il marito (Nittiano! E sempre perseguitato dai fascisti! Ma lui sempre a dire la sua! ) ancora lontano. 

Nonna incontrò in piazza "la contessa" : una donna minuscola,  sempre attenta e sospettosa, le movenze e l’aspetto di un furetto.

Non ho mai saputo come si chiamasse davvero, il suo era un soprannome che in paese le avevano affibbiato per le sue arie da gran signora, perché da giovanissima era andata a servizio completo  da Don Alberto, zio della nonna, rimanendoci per moltissimi anni fino alla morte dello zio.


Don Alberto, come era chiamato da tutti, era il farmacista del paese - di quando le medicine si facevano in laboratorio con mortaio e pestello – medicine che lo zio Alberto in gran parte regalava ai clienti, che non erano certo tutti signori, ma in maggioranza  piccoli artigiani, contadini, braccianti poverissimi
( “e come si faceva diversamente? con tutte quelle creature malate... tutti a bussare al bancone, al portone, a tutte le ore …).

La “contessa”,  appena vide la figura della nonna attraversare la piazza, si diresse con rapidità e decisione verso di lei, e le disse con entusiasmo: “Donn’Annamari’, avete sentito la radio? Putimm’ vutà pure nuie!”


La nonna rimase   interdetta, perplessa assai. Dentro di sè penso: Noi chi? le cameriere? però non lo disse, e chiese: “Noi chi?” 
E la “contessa”: "Nuie femmine, donn’Annamarì, tutt' quante!”  


E durante tutta la nostra giovinezza la nonna ci ripeteva sempre che non dovevamo dimenticare quella domenica del ’46. 
 
Lo ripeteva a ogni appuntamento elettorale,  referendum su divorzio e aborto compresi,  che sostenne con grande coraggio e noncuranza delle critiche  e dei commenti malevoli che riceveva da tutti  (“… Mi meraviglio proprio assai di voi, donn’Annamaria, una donna così saggia, anziana..! “… E proprio perché sono saggia e anziana, e ne ho viste tante, di donne che hanno sofferto, che dico che le donne devono votare no!”) .


Noi che eravamo nate dopo non  dovevamo   "assolutamente ! " dimenticare quella domenica del ’46, quando così tardi fummo ammesse al voto, pure noi, finalmente. 
Noi  tutte, signore e cameriere, noi donne, e cittadine, finalmente!


Non lo abbiamo dimenticato, mai,  e ora che sono passati settanta anni voglio ricordarlo qui.