venerdì 8 ottobre 2010

BABA'? BABBA'?

Il babà E' IL DOLCE ASSOLUTO, anzi, è il dolce assoluto, non ha bisogno di un maiuscolo urlato.
Anzi: il babà è.

Qualche parola di spiegazione, per quanto mi possa sembrare assurdo che sia necessario spiegare un'evidenza tale.

Ho un amore altrettanto assoluto per il babà, so farlo, e nel mio amore assoluto ammetto solo le forme "pure", fungo e tonda grande (ma NON la ciambella del savarin, che sta bene solo col domestico ciambellone) col foro al centro pieno di babà piccoli.
Basta.

La semplicità è il suo equilibrio, la sua delicatezza è la sua forza. Non ha bisogno di esibirsi, essendo perfetto. Sono sinceramente offesa quando lo vedo con crema o con panna!
E l'orrore delle ciliegie candite?! delle fragoline?! come si fa a rivestire l'eleganza assoluta in un modo così volgarmente pretenzioso?

Da napoletana "ad honorem" quale mi considero, ho una mappa aggiornatissima dei migliori pasticcieri napoletani (non esistono altre città), dalla collina ai "quartieri". Il babà mi accompagna da sempre e, quando ho dovuto fare un dolce che mi facesse fare "bella figura" la prima volta che ho incontrato i genitori del mio attuale marito, allestii una finzione con il babà al suo centro.

L'anziana mamma napoletana di una mia amica, che l'aveva appreso nella sua vecchia famiglia direttamente da un monsù (!) si offrì di farlo lei, "bagna" messa nel bottiglione compresa, che naturalmente portai a tavola così com'era a riprova della fattura casareccia del dolce.
Il babà era divino, la bagna pure, e i genitori furono conquistati; poi, nel corso degli anni, ho dovuto impararlo davvero, avendomelo richiesto spesso, e la considero un' abilità che mi spiace non poter inserire nel mio curriculum. Del resto, la mia prima password del p.c. è stata "babà" e mi sono sempre chiesta se la scrittura giusta napoletana non fosse invece "babbà".

Borges pubblicò un libro, fra i suoi ultimi credo poco noto,che io comprai 25 anni fa e che forse si ripubblica ancora, da Mondadori, che si chiama "Atlante".
E' un libro elegante e smilzo, con foto e, come scrive Borges stesso nel "Prologo" , "...(non sono) testi illustrati da foto o foto spiegate da un'epigrafe, ogni titolo comprende un'unità fatta d'immagini. Inizia scoprendo l'amaro, i sette colori dell'arcobaleno, le lettere dell'alfabeto..."

Insomma, a pagina 33 c'è la brioche, (altro mio amore) e Borges lì ricorda che i cinesi pensano che ogni cosa abbia il suo archetipo, e afferma che quella brioche, di cui lì si ha memoria in foto, "è l'Archetipo" della brioche.
Io credo che il babà sia l'Archetipo di se stesso.

Anche Alberto Savinio si può inserire e mescolare "dolcemente" a questa compagnia: nella "Nuova Enciclopedia", edito da Adelphi (un'altra delle letture "perenni" per me)alla voce "Dolce", pag.110, Savinio racconta di un incontro con un'amica, in una via di una città fredda e in un'ora tarda, elementi entrambi che invitavano a cercare conforto (Savinio scrive "gemutlich") in un luogo chiuso, che nell'offerta di Savinio alla gentile signora era una pasticceria.
La signora declina: "Non ho fame"... Savinio sente " soffiare nell'animo un fiato di morte".

Ricorda quindi la trista Dea Fames, la parola stessa è: "gonfia di lezzo e di tenebra", laddove i dolci sono da noi accettati solo se: " saziata è la fame, placata la necessità... siccome si ridesta la poesia, spento che è il dramma e la necessità. Dimenticato quel che (...) di cupo e mortale è nell'operazione di nutrirsi , ci riconcilia con la parte divina della vita e fa rifiorire in noi il riso(...) E dopo il dolce viene la frutta (...) . La poesia del dolce è troppo intellettuale, troppo cerebrale: onde sciolti da quella divina pazzia, torniamo per merito della gentilissima Pomona alla poesia più mite e tranquilla della terra".

La citazione è lunga, ma la "voce" dell'Enciclopedia lo è molto di più, e non sono sicura che i miei tagli rendano la "delizia" del pezzo, che consiglio vivamente.

Il mio senso di colpa, che sempre mi segue, mi costringe dopo questa lunga elegia a citare Napoleone: "Dal sublime al ridicolo non vi è che un passo" ....ma la tolleranza, che pure esercito, per fortuna anche verso di me, mi ricorda anche la frase di Heine: "Dal sublime al ridicolo non c'è che un passo! Ma poi la vita è così fatalmente seria che non la si sopporterebbe senza questa unione del patetico con il comico".