venerdì 28 maggio 2010

Cosa può unire bimbi in festa e un mercato bio?

Ieri ho attraversato i Giardini di Piazza Vittorio a Roma, e sono stata assalita da una specie umana, che in questa città è sempre un po' nascosta, e si può intravvedere a volte solo dentro le automobili, sui carrelli della spesa al supermercato, in qualche marciapiede: bambini.

Sciami colorati di bambini , nell'età delle elementari, che correvano di qua e di là, seguiti da maestre (e da mamme che sempre suppliscono tutti i welfare possibili) oppure che erano fermi sotto vari gazebo, alcuni a dipingere, altri a comporre puzzle su come sono belli tutti i cibi del mondo.

Ricordo di aver letto di "Scuola in festa" e della polemica che l'aveva accompagnata, essendo una manifestazione inaugurata da rappresentanti di pubblici poteri che la scuola la tagliano, e forse la odiano.
Cammino contenta della vista dei bimbi, e anche delle attività che li coinvolgono, mi piacerebbe fermarmi anch'io in una di queste, quando sento una musica fortissima provenire da un palco, un "tump-tump- yè, tump-tump-yè" assordante: in alto, altri bambini che si dimenano: i maschi come in un video -clip, le bambine come su un "cubo".
Sono impietrita a guardare, ma sono l'unica, la maggioranza degli adulti presenti non ci bada, qualcuno incita.
Mentre mi allontano, ho un ricordo: la scorsa settimana, in una domenica finalmente assolata, mi faccio convincere da qualcuno che mi segnala una vendita di prodotti biologici e a km zero nello spazio più grande del Mattatoio: un gran prato verde, dove i bambini (ancora loro) possono correre liberi, ci saranno tante cose buone da assaggiare e da comprare: le cipolle rosse davvero e davvero calabresi! le olive davvero saporite! il pane davvero di segale-farro-miglio-alghe!...vado.

Dall'ingresso il tratto da percorrere a piedi è lungo e suggestivo, in questo spazio di architettura inizio secolo così bello, la giornata è serena, ma.....noi poveri malcapitati, entusiasti e curiosi, più tentiamo di avanzare e più veniamo respinti, come accadeva allo sbarco in Normandia.
Respinti e assaliti non da granate, ma da un immane, insopportabile fracasso; un baccano che, come il fiato di un drago, ci avvolge in una intollerabile nuvola rumorosa.
A fatica, barcollando urtati dai decibel, cerchiamo di guadagnare almeno l'ingresso del grande prato, per capire.

Dentro, in mezzo a questo enorme spazio erboso e verde, in cui pure ci sono banchetti dietro i quali si tenta di affettare prosciutti e pesare pani, tutti urlando, chi chiede e chi dà, cercando di capirsi, ebbene, proprio nel centro c'è un palco gigantesco, qualche strumento a percussione, il cui tump-tump è qui amplificato all'ennesima potenza.
Sul palco una donna e un uomo , con vari microfoni, incitano a partecipare a una gara canora, ma non capisco altro perchè giro su me stessa e scappo, insieme con tutti i disperati che erano entrati, fiduciosi, con me.
Non posso non ricordare che noi bambini avevamo le zuccherose canzoni dello Zecchino d'Oro o, in alternativa, "Va pensiero sull'ali dorate-e-e", che bisognava non stonare nelle numerose inaugurazioni a cui dovevamo presenziare, in prima fila in quanto infanti.
Non posso non vagare nella memoria in altri prati con primizie, o tardizie, quando il rumore era l'abbaiare dei cani e i bambini strillavano perchè scoperti a nascondino, e c'erano risate e pure silenzio, qualche radiolina qua e là.
Eppure, non è l'arcadia di Nonna Speranza (1870) ma solo qualche decennio fa; non sono le immagini bucoliche del Montenegro, o del Nottinghamshire, ma dell'Italia, anche di Roma.
Ha ragione, ogni giorno che passa, e sempre più, McLuhann ("sto' menagramo di Mc Luhann!" dicevamo all'università, e non si poteva parlare di tv senza citarlo, e pareva tutto così colto e così lontano...) : "...è il mezzo che determina i caratteri strutturali della comunicazione, con effetti pervasivi sull'immaginario collettivo...."










martedì 18 maggio 2010

homo oeconomicus e comportamento razionale al tempo della Destra

Leggo oggi gli articoli dei quotidiani sul ddl Lavoro che reintroduce l'arbitrato nelle controversie legate alla soluzione dei rapporti di lavoro, arbitrato su cui persino il Presidente della Repubblica si era pronunciato, chiedendo di tener conto della debolezza evidente di un neo-assunto rispetto all'azienda.

Il Pd aveva presentato un emendamento che introduceva la scelta del lavoratore, la possibilità cioè di scegliere se rivolgersi al giudice o a un collegio arbitrale; il relatore del PdL, Castro, annuncia che la maggioranza ha deciso di non accettarlo.
La motivazione è: "...proporremmo un modello antagonista, e soprattutto favoriremmo una posizione opportunistica, il lavoratore sceglierebbe tatticamente quello che più gli conviene!"

Ecco, appunto.

Questa destra ha una capacità ineffabile, indicibile, che proverò appunto a "dire", a descrivere, e che mi stupisce e mi affascina, come mi affascinano i giochi di prestigio, anche quelli stupidi.

Il fondamento della teoria economica classica ( e dunque del liberismo tanto caro persino a questa destra, che ne riempie i discorsi, e caro anche a tutta la destra mondiale, il che non è poco) è l'"homo oeconomicus", che, in quanto razionale, persegue la massimizzazione del proprio benessere; questa è addirittura calcolata dagli economisti con una funzione matematica, detta "funzione di utilità" .
Cosa fa in sostanza l'homo oeconomicus, razionale per definizione?

1)analizza le situazioni e il contesto in cui si trova, cercando di prevedere gli accadimenti futuri che lo coinvolgeranno;
2)massimizza la sua utilità, usando al meglio le risorse di cui può disporre.

Importante: la nozione di utilità è associata in economia a quella di benessere!

Ne consegue dunque che, soprattutto in un "meraviglioso" mercato interamente libero -quello che la destra dice di amare e a cui dovrebbe tendere - attribuendo a tutti gli agenti economici queste caratteristiche razionali, la somma delle utilità degli individui singoli diviene "il" benessere sociale.

E qui mi fermo, ma (so che) si potrebbero costruire modelli matematici che massimizzano l’utilità di ciascuno, ovviamente complementari alla ipotesi dell’efficienza del mercato.

Tutto ciò ricordato, la domanda è: perchè ciascuno sì, come dice la teoria di cui sopra, ma i lavoratori no, soprattutto i neo-assunti?

Perchè gli "agenti economici", cioè quelli che agiscono, semplicemente, in un mercato, come anche quello del lavoro è, possono avere comportamenti razionali, ma questi benedetti neo-assunti no e poi no?

E perchè noi tutti (anche le imprese, e giustamente) possiamo sommare le nostre utilità singole e sentirle definire "benessere collettivo", ma l'utilità dei neo-assunti assolutamente non dev'esserci?

Il gioco è di prestigio ma di quelli stupidi, l'avevo premesso!

Però mi colpisce sempre, come quando si sa che le monete ( o i fazzoletti, o i conigli ) erano lì da prima, e uno dice "...che stupidaggine!" eppure guarda, ascolta, si è concentrato ad osservare....

giovedì 13 maggio 2010

Le pantofole dell'Orco

Anche ieri l'altro c'era sui quotidiani un aggiornamento della infinita contabilità delle donne che hanno perso la vita perché ammazzate, da uomini che un tempo erano i compagni di quella stessa vita.
Storie diverse sempre uguali; morti violente, perchè le donne non devono avere possibilità alcuna di salvarsi: cinquanta coltellate in un luogo pubblico - addirittura in una struttura di conciliazione familiare - per una; per l'altra, una revolverata in faccia appena aperta la porta.
Donne che si fidavano, che volevano mediare,che avevano con sé i figli, che avrebbero voluto solo continuare una vita, forse decente, di persone.

Anche le donne uccidono, certo, ma come non rimanere sempre, ogni volta, inebetiti di fronte a questi elenchi in cui appaiono aggiornamenti contabili ma non variazioni di rilievo, i maschi che ti uccidono dicono poi che si sentivano persi da soli, che erano gelosi, che volevano punire, annullare una realtà inconcepibile.....

Come non rimanere sempre, ogni volta, inebetiti di fronte a questa eterna crocifissione delle donne al ruolo di "cosa", di proprietà di qualcuno, di qualcuno che è stato il tuo compagno ed è ora il "tuo" Orco, che ti mangia?

Qualche tempo fa lessi un libro che aveva questo titolo : "Le pantofole dell'Orco", storie di ordinaria violenza domestica, (che contrasto fa questa parola rassicurante e un po' noiosa, "domestica", con l'aggettivo che qui l'accompagna...)

IL titolo glielo aveva messo una donna che aveva raccolto alcune storie, un ventina, ma avrebbero potuto essere duecentoventi o due o ventimilioni, erano tutte diverse e tutte uguali, e quello che le univa era che l'Orco, si, aveva proprio le pantofole di casa.

mercoledì 12 maggio 2010

Frequentare un Comitato Femminile al tempo della Destra

Ho partecipato la scorsa settimana a un incontro a inviti – ma pubblico – su alcuni temi di interesse generale (l’esclusione, la povertà) declinati al femminile.
Al centro dell’attenzione, dei discorsi, delle attenzioni, le donne, sempre più povere, sole, neglette.

A parlare, signore vice-capo di Gabinetto di Ministre (ahimè, senza portafogli alcuno, però piene di intenzioni e soprattutto di rivendicazioni di cose fatte), coordinatrici di ostelli cattolici, assessore al lavoro & alla famiglia….
Le parole, soprattutto quelle d’ordine che si credevano consunte dall’uso e invece no, si sono rincorse fra loro rievocando altri incontri, altri seminari, dibattiti, tavoli, conferenze- stampa….

E in effetti, cos’è che dovrebbe marcare la differenza, o almeno “una” differenza?

Rifletto che le istituzioni, anche quelle piccole come gli assessorati - e giù scendendo, i comitati, le consulte, i circoli - e i ruoli che alle istituzioni danno corpo, e soprattutto il potere che li accompagna (anche se questo è piccolo, minuscolo, locale, circoscritto alle enclaves ) ebbene, ampiamente predominano sulle diversità culturali, sui cambiamenti di alleanze e di gestione politica, che pure accadono e dovrebbero poi comparire, apparire in qualche forma…..

E’ l’istituzione che ha una sua forza monolitica e immutabile, e dunque “informa” di sé quelli (quelle) che le rappresentano, rendendoli identici, o sono gli obiettivi, talmente positivi, da rendere indistinguibili le “casacche” indossate?

Tenderei a sbilanciarmi completamente a favore della prima ipotesi: la forza del ruolo politico è tale che tutti/e finiscono per celebrare la “messa cantata”: la ritualità delle azioni e dei discorsi, delle proposte e degli incontri, in un girotondo autoreferenziale, recinto più o meno ampio in cui si piange, si esulta, ci si lamenta, nel tempo.

Però…..la declinazione degli argomenti al femminile, la presenza quasi esclusiva di donne fra le relatrici e fra il pubblico e, non ultimo, il mio essere appartenente allo stesso “genere” fa si che, come in un convento di suore di clausura, in un harem, in un gineceo qualunque insomma, la parola “casacca” scivoli nell’evocazione di nient’altro che un guardaroba, anzi molti guardaroba, declinati, questi si, in maniera diversa!

Ecco che finalmente esco dal mio stato sonnacchioso, in cui ero precipitata dopo essere stata scossa come ogni giorno dalla lettura del quotidiano ( “l’euro è precipitato, è in caduta libera! scoperte fosse comuni di centinaia di kosovari! la sede della conferenza stampa più vergognosa dell’ultima…settimana non era al Bagaglino ma a Palazzo Chigi! la nube ritorna!) e rifletto che è proprio questa “la differenza che fa la differenza”.

Noto infatti che sono quasi scomparsi i tailleur “tagliati comodi”, i dolce-vita caldi e a volte sintetici; sparite le borse “divertenti”, comprate forse a Londra ( ho trovato un banco a Covent Garden…!) a forma di innaffiatoio, in pvc coloratissimo verde prato o rosso fragola, oppure cucite con maniche di giacche maschili, in Principe di Galles; stessa scomparsa per le valigette da lavoro di nylon nero, residuo di convegni regionali e riconoscibili dalle scritte, in cui poter stipare carte e portafogli, rossetti e foulard; spariti i blazer “stile Armani” delle più giovani e rampanti, gli stivali “di moda” comprati nel negozio sotto casa; assenti le collane etniche, le maglie…..le maglie, dove sono?
Neanche una.

Scomparse pure, perdute nella memoria di altri incontri in tutto simili, le “stazze generose” di donne in età con capelli brizzolati e tagliati alla maschietta, come si diceva un tempo per ingentilire la definizione di un taglio maschio e corto; sparite anche le chiome disordinate tenute da fermagli o, in caso di signore davvero indaffarate e più giovani, da matite; occhialoni da miope e pantaloni comodi, “devo starci dentro tutto il giorno” , grigi o blu, a volte a quadri .

Ora invece mi accorgo di essere circondata da una marea nera, ma con qualcosa di bianco: il bianco è di tutti, ma proprio tutti, i pantaloni presenti, aderentissimi su tacchi chilometrici, a zeppa, di scarpe alcune già aperte in punta, nonostante la temperatura ancora rigida e la pioggia, che scoprono alluci adeguatamente dipinti di rosso o di marrone.

Il nero è di giacche strizzatissime (penso che ci vorrà il calzascarpe per sfilarle) tagliate rigide, sopra camicie trasparenti dalle scollature profonde: dentro, donne che non pesano più di cinquanta chili, capelli biondi e vaporosissimi, nessuna “ricrescita” imbarazzante, nessuna piega “come viene viene”, niente nodi, fermagli, brizzolature naturali.
Le borse sono tutte di gran firma, o eventualmente di marca, tutte o piccolissime o grandissime, tutte semivuote.

Si chiacchiera molto, moltissimo, nessuna ha un bloc notes, che non servirebbe perché nessuna ha preso appunti.
Solo io mi sono sentita in dovere di domandare, alla reception, avendo chiesto una biro che non ho avuto perché “non prevista” : “… e come si fa a scrivere?”

La risposta “…tanto non c’è neanche la carta!” , era un dato di fatto, la cartellina infatti conteneva solo lucide brochure su progetti finanziati, su cahiers de doléance, su gruppi di lavoro: numerosi.

Il cosiddetto “corridoio”, luogo perenne ed eterno di ogni incontro politico, dai congressi sindacali e dei partiti ai rinnovi delle tessere delle associazioni professionali, costante di ogni assise in cui ci sono decisioni da prendere e risorse, pure infinitesimali, da sistemare, era presente pure lì: è lì che mi sono accorta dei piedi dipinti.

Però non si ascoltavano, passando, frammenti di trame più o meno riservate, né dialoghi smorzati su alleanze da assestare, né accenni su accordi a danno di e a favore di.

No, le conversazioni, comunque fervide, vertevano su un piano bonario e familiare, come quando in famiglia appunto si conversa, a tempo perso, di parenti appena acquisiti che si conoscono poco, ma tanto bravi: “…è ’ vero si, prima era il gastroenterologo suo personale, ora come sottosegretario viaggia sempre, non si vede mai, ma è serio, emana un sacco di circolari e li mette in riga….”

…”si, prima recitava, ballava, e non era neanche male, io l’ho vista una volta a X; però bisogna riconoscere che ora si è messa a studiare, non le si può dire niente come Ministro, è quella che fa le proposte più serie, quelle che ci vogliono….ora si sposa pure…."

“…quando è che c’è il prossimo Forum internazionale? Noi come Comitato andremmo tutte a Istanbul, tanto stiamo in gruppo, che vuoi che ci succeda anche se usciamo, mica staremo sempre in albergo, no quella dei cammelli è una favola, non ci sono più neanche lì…."


La situazione si agita al momento del buffet; chi pensa che il genere femminile stia a dieta per definizione si sbaglia e una delle prove è la pausa pranzo di ogni convegno che si rispetti e che, se è tale, deve avere incorporato un “time lunch”.

Qui qualcuno avrà pensato che, essendo i presenti tutte donne, sarebbe stato opportuno, e più femminile, il cibo “da prendere con le dita” : minuscoli canapé farciti; quadrucci di pan carré con un micro-gamberetto; triangolini di quiche; tazzine delle bambole con dentro budini colorati…..immediatamente il muro umano diventa invalicabile, il corpo a corpo aggressivo.

Quando vedo che tutti gli altissimi tacchi con zeppa si sono schierati, assumendo il minaccioso assetto di guerra dei “cavalli di frisia”, a tutela dei varchi al tavolo, capisco di essere perdente: se finissi coinvolta nella lotta impari, con il mio mocassino sotto una qualunque di quelle armature, non potrei poi camminare per molto tempo, e come farei a frequentare altri seminari, altri comitati, altre consulte? Esco.